Cara Emma

Cara Emma,
mi ha fatto piacere ricevere la tua email, sapere dei tuoi progetti e sono fiero di quanto tu stia realizzando. Ne avevamo parlato tante volte in classe dell’importanza di non cedere allo sconforto, anche quando sembra avere la meglio.

Leggere le cose meravigliose che stai costruendo, mi rende pienamente soddisfatto e orgoglioso del lavoro fatto insieme, dei momenti complicati e difficili che sei riuscita a superare.

E se qualcuno ha approfittato della tua disponibilità e della tua generosità ti prego di non curartene. Le persone si svelano sempre per ciò che sono, ricordatelo. Sempre, alla fine della strada, tutto torna.
Ti auguro di andare avanti nel progetto di ricerca e se qualche ostacolo arriverà sii pronta a superarlo.

Quanto a me sono sicuro riuscirai, non ti manca nessuna delle doti richieste per affrontare al meglio il compito difficile e bellissimo che hai di fronte.
Auguri per tutto quanto.

Non dimenticarti di essere felice.
Con affetto
Il prof

(“Lettere dal prof” AA VV, Siena 1997).

Strappare lungo i bordi. E ZeroCalcare divenne il miglior storyteller dell’anno.

Ho visto “Strappare lungo i bordi” la serie di ZeroCalcare, distribuita da Netflix, uscita circa 10 giorni fa e già grande successo. Quanto Michele Rech, in arte ZeroCalcare, fosse bravo, si era capito già da tempo. La sua sensibilità, una certa attenzione a problematiche sociali, la sua capacità di raccontare, attraverso il fumetto, temi solo apparentemente comici, ne avevano fatto da tempo e a buon titolo, uno dei più bravi fumettisti di sempre.

Da quando è uscita la serie “Strappare lungo i bordi”, distribuita da Netflix, qualcosa sembra essersi smosso e finalmente. ZeroCalcare è stato consacrato non solo come fumettista, ma anche e soprattutto come narratore, come storyteller si direbbe oggi.

Saper raccontare non è una capacità di tutti: poche parole non prive di dettagli, immagini chiare e mai a caso, riflessioni profonde, molta empatia, parole sussurate per voce della propria coscienza, rappresentata dall’armadillo (non poteva avere doppiatore migliore che Valerio Mastandrea).

Il segreto di un successo così marcato è non solo nella capacità di racconto, ma anche nella modalità: una genuinità disarmante, un vivere quotidiano che potrebbe essere anzi che è il vivere di chiunque di noi, la scelta del romanesco che sottolinea la spontaneità dei personaggi.

Difficoltà quotidiane e tentativo di resistere in luoghi sempre troppo stretti, in una vita che non è perfetta, non è -appunto- strappata lungo i bordi, ma proprio per questo ugualmente bella e soprattutto autentica, sono gli ingredienti che vanno a completare una ricetta già perfetta.

Le riflessioni su vicende di vita che accadono a tutti ci spinge a ridere e a commuoverci, a riflettere certo ma anche a cercare un po’ di leggerezza. La stessa che ci farebbe dire, solo apparentemente fuori luogo: “S’annamo a pijià un gelato?”.

Bravo.

Quarantine

Siamo tutti sulla stessa barca. Non credo. Se hai uno yacht e io una barca a remi, no, non siamo tutti sulla stesssa barca. Del resto stare a casa è bello, ma se intorno hai tutte le comodità e gli spazi è un conto, se hai una famiglia e vivi in 50 mq è diverso. E poi non siamo tutti sulla stessa barca solo quando fa comodo. Se fossimo tutti sulla stessa barca saremmo tutti trattati allo stesso modo.

Eroi. I medici e tutto il personale sanitario, i volontari, la protezione civile. Fanno il loro lavoro e anche di più, insieme a tanti altri, gli insegnanti, gli operai, gli impiegati delle aziende di trasporti e altri che non si sono mai fermati. Andrebbe ricordato più spesso e non solo nelle emergenze o perché agiscono in un contesto urgente, che lascia poco spazio all’improvvisazione. Se la Sanità fosse stata privata chi è ricco avrebbe potuto curarsi, chi è povero no. Pensiamoci.

Andrà tutto bene. Non è vero. E non è vero perché andiamo incontro a braccia aperte a una crisi economica più grave della precedente, sarà tutto fermo e ripartire non sarà semplice. Forse è ora di iniziare a fare i conti.

Lombardia. Il primo allarme su questo virus è dello scorso 8 gennaio 2020. Io spero che in Lombardia dopo questa emergenza, Attilio Fontana, Beppe Sala, Giorgio Gori e tutti gli altri abbiano il coraggio di dimettersi. Di dire: “Signori ho fatto degli errori gravi. Non ho saputo gestire questa emergenza. Dovevo chiudere tutto e prima”. #Milanononsiferma è stata un’idea folle. Un errore comunicativo imperdonabile e non si può nemmeno dare la colpa a Rocco Casalino, un po’ perché di colpe ne ha già tante, un po’ perché non c’entra davvero nulla. Arriverà anche il momento delle responsabilità e si spera arrivino presto anche le elezioni.

Operai: “Ecco, io sono una vite. Io sono una cinta di trasmissione, io sono una pompa! E non c’ho più la forza di aggiustarla, la pompa adesso! Io propongo subito di lasciare il lavoro. Tutti!”. Così diceva Lulù Massa nel film di Elio Petri “La classe operaia va in paradiso”. Un grande Gian Maria Volontè. Avrebbero dovuto fermarsi per primi gli operai e dovrebbero fermarsi per un bel po’, perché Confindustria, in tutta questa storia, ha molte responsabilità, molto gravi. E sono responsabili di morte e di dolore, ancora una volta. Scomparissero per sempre. E su questo non ci sono sconti, né discussioni e nemmeno opinioni. O almeno io non le accetto.

Controllo. Flash mob e caccia all’uomo dalle finestre sono diventati preoccupanti. Questa necessità di trovare un colpevole oltre noi mi lascia perplessa e mi dice molto sulla voglia di regime che hanno alcuni. E poco importa se fino a ieri ero quello che “Ma non bisogna fermarsi” mentre adesso “Ho visto una che andava a comprare solo il pane, non va beeeeneeee.” E fino a quando inoltre qualcuno sarà così egoista da pensare “Se proprio si deve ammalare qualcuno, ammalati tu e non infettare gli altri eh” non credo andremo molto lontano.

Smart working. L’alienazione totale dell’individuo. Tra poco non ricorderemo la faccia dei colleghi, il suono della loro voce, l’impegno di ogni giorno. Mi rattrista molto non potermi confrontare, non incontrare uno sguardo di intesa. Non poter condividere decisioni. O farlo solo a distanza. Mi fa soffrire tentare di spiegarmi in email lunghe e farraginose, che forse non verranno capite e rallenteranno problemi che si possono risolvere in pochissimo tempo.
Precisazione. Lo smart working non è nato per far risparmiare i genitori sulla baby sitter. Se hai un figlio, non puoi lavorare e contemporaneamente badare ai bambini. Non è fattibile. Bisogna organizzarsi e bisognerebbe dare sostegno concreto alle famiglie, ai genitori che lavorano, altro che 600 euro per la baby sitter. Molto di più.

Solitudine. Sentirsi soli è triste, stare soli e sentirsi soli è ancora più triste. C’è chi era in difficoltà prima e adesso vede il buio dentro e intorno. Le istituzioni li hanno dimenticati ma il supporto di personale qualificato dovrebbe essere garantito a tutti.

Le parole che ricorderò.

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