Tempo fa ho voluto celebrare il mio ritorno al cinema con un documentario che è una vera perla nel mondo del cinema.
Presentato alla Mostra del cinema di Venezia fuori concorso, per la regia di Giorgio Verdelli, il documentario racconta la vita artistica di Ezio Bosso. Direttore d’orchestra, pianista e compositore, Ezio Bosso, scomparso a maggio del 2020, ha attraversato la sua breve vita esplorando la musica e proponendo le proprie opere con rara intensità.
L’amore per la musica lo ha accompagnato in ogni istante e lo ha spinto oltre tutti i limiti, compresi quelli, quasi sempre vissuti come apparenti e mai come impedimento reale, tracciati dalla malattia contro la quale ha combattuto per molti anni.
La sua conoscenza, la sua abilità con vari tipi di stumento musicale, la sua cultura profondissima e la sua enorme sensibilità, ne hanno fatto uno degli artisti più rappresentativi degli ultimi anni. Una sensibilità la sua, capace di andare oltre ogni apparenza, oltre ogni pregiudizio: sensibilità che probabilemnte si aspettava anche dalle persone che lo circondavano e lo spingevano ad agire sempre da uomo libero, andando fino in fondo all’obiettivo.
Un anarchico del mondo reale, del mondo dell’arte.
Il documentario racconta la vita di Ezio Bosso certo, ma soprattutto il suo infinito amore per la musica.
E c’è di più: suggerisce una profonda riflessione su ciò che resta, non solo inteso come ciò che non si allontana da noi, ma anche come ciò che ci viene lasciato dopo la morte.
Un’esperienza, quella che viviamo durante la visione, struggente e intesa, capace di lasciare una traccia profondissima dettata da una personalità così articolata, così complessa e per questo così unica.